Esclusiva

Giugno 25 2025
Con l’ingresso dell’IA nelle redazioni il futuro è già passato

Negli ultimi due anni l’intelligenza artificiale ha cambiato il giornalismo, tra esperimenti, errori e questioni irrisolte

Nel gennaio 2023 la scuola di giornalismo “Massimo Baldini” della Luiss pubblicava un numero del periodico di Zeta, la testata della scuola, realizzato con l’Intelligenza Artificiale. ChatGPT era stato lanciato solo due mesi prima e il titolo di quella pubblicazione, “Esperimento”, rispecchiava la curiosità del momento e lo stato embrionale degli strumenti a disposizione. 

Da allora sembrano passati molti più anni di quelli che indica il calendario. Oggi l’IA è ovunque e ha fatto il suo ingresso anche nelle redazioni. Fin dal 2023, l’agenzia americana Associated Press utilizza dei tool di intelligenza artificiale per ottimizzare i passaggi della produzione dei contenuti. Anche il Financial Times ha sviluppato strumenti come “AI Playground”, che aiuta i giornalisti nello sviluppo di idee, nella sintesi o nell’editing dei pezzi. 

Ma sull’onda dell’entusiasmo, la corsa all’IA ha portato anche a errori e incidenti. Nell’estate 2023, il gruppo editoriale americano Gannett ha dovuto bloccare un software per la generazione di articoli sportivi, perché i testi scritti dall’IA contenevano errori e frasi assurde. Un altro episodio ha coinvolto Apple News a inizio 2025, quando una funzione sperimentale di notizie flash riassunte dall’AI ha iniziato a mandare agli utenti delle notifiche con informazioni false. 

Rispetto a questi esperimenti, oggi l’euforia dei primi tempi si è affievolita, lasciando spazio a un po’ di disillusione ma anche a una maggiore consapevolezza sui punti di forza dell’IA e sui suoi attuali limiti. «Non ci sono buoni dati empirici su quali task sono più automatizzate, ma in generale si tratta di quelle chiaramente definite, che sono più facili da delegare alle tecnologie disponibili», spiega Felix M. Simon, ricercatore del Reuters Institute for the Study of Journalism. Paradossalmente, la scrittura resta uno dei compiti in cui l’IA fatica di più, perché richiede una comprensione e una creatività che le macchine ancora non possiedono. 

Secondo il rapporto Journalism and Technology: Trends and Predictions 2025 del Reuters Institute, i miglioramenti dei modelli delle big tech come Google o Microsoft renderanno accessibili anche alle testate più piccole funzioni sempre più avanzate. Un’ applicazione in crescita è quella di strumenti come OpusClip AI, che permettono di trasformare video lunghi in contenuti pronti per TikTok o YouTube Shorts, adattando in automatico formato, sottotitoli ed effetti. Queste funzioni sono sempre più importanti per moltiplicare la diffusione dei contenuti e ottimizzare i flussi di lavoro redazionali. 

Con l'ingresso dell'IA nelle redazioni il futuro è già passato

In un contesto frammentato e multimediale, saper padroneggiare questo vasto arsenale tecnico è ormai parte integrante del lavoro, così come saper valutare criticamente i risultati. «Non è la tecnologia in sé a cambiare le abilità richieste, ma la crescente digitalizzazione del giornalismo che crea una domanda di nuove skills – continua Simon – tra queste le più importanti sono la data literacy e la velocità di apprendimento di nuovi strumenti». 

Oltre alle conoscenze tecniche, l’innovazione degli ultimi anni sta trasformando l’intero ecosistema dell’informazione. Molte testate temono che in futuro le notizie vengano cercate sempre più tramite chatbot come ChatGPT o motori conversazionali come Perplexity, riducendo l’audience dei giornali. Un timore già attuale con “AI Overview” di Google, che sintetizza i risultati delle ricerche e, secondo SimilarWeb, sta già erodendo il traffico di molti siti d’informazione. 

Un’altra sfida cruciale per il sistema mediatico è rappresentata da misinformazione e deepfake. Anche se mancano ancora dati certi, l’uso dell’IA per generare testi, audio e video sempre più realistici pone un problema all’autorità dei media tradizionali. Il recente lancio di Veo 3, il generatore video di Google, ha impressionato per il suo realismo, ma ha anche sollevato dubbi e preoccupazioni. Il rischio maggiore è il cosiddetto “utile del bugiardo” (liar’s dividend): in un clima generale di sfiducia in cui i contenuti falsi sono indistinguibili da quelli autentici, anche la verità può essere messa in dubbio, a vantaggio di chi agisce in malafede. 

Con l'ingresso dell'IA nelle redazioni il futuro è già passato

«Il liar’s dividend non ha a che fare solo con la tecnologia ma più con la disponibilità del pubblico ad accettare l’affermazione che qualcosa non è autentico perché si fida della persona che dice quella cosa», sostiene Simon. Secondo il ricercatore, per mantenere credibilità e fiducia la strategia migliore è la stessa di sempre: «Fare un’informazione attendibile e di qualità ed essere trasparenti sul processo». Perché il buon giornalismo non dipende dagli strumenti utilizzati, ma sta nella curiosità, preparazione e responsabilità del giornalista. Tutto questo, a prescindere da ogni progresso tecnologico, sarà sempre indispensabile.