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Esclusiva

Marzo 10 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 7 2021
Il virus scatena i detenuti. I familiari: «Abbiamo l’anima a pezzi»

Il sovraffollamento alimenta la paura per il coronavirus. Da Nord a Sud si moltiplicano le proteste dei detenuti. La testimonianza di una madre e la parola dell’esperto

Nelle carceri sovraffollate il coronavirus non era altro che il detonatore di un ordigno pronto per esplodere. Alla fine la bomba è scoppiata e lo ha fatto in ben 27 istituti penitenziari italiani, da nord a sud. La paura del Covid-19 non ha risparmiato neanche i detenuti, dopo che negli ultimi giorni si era diffusa la voce di alcuni contagi tra i carcerati e gli agenti penitenziari. Ma a peggiorare la situazione sono state le misure restrittive varate del governo sulle visite dei familiari. “Amnistia, amnistia!”, gridano i detenuti mentre si arrampicano sui tetti delle carceri avvolte dalle fiamme. Una coltre di fumo nero fuoriesce dalle finestre da di San Vittore, dentro si sentono le urla dei detenuti. Da Foggia evadono 76 persone, le farmacie delle strutture vengono prese d’assalto. Il saccheggio provoca la morte di 12 detenuti in cerca di farmaci e metadone. La protesta si allarga: è il caos.

Sul web cominciano a diffondersi le immagini delle proteste. Foggia, Melfi, Napoli, Roma, Modena, Milano. A Palermo è notte quando da lontano si vede il carcere puntellato dalle celle che prendono fuoco. Sembra che dentro si stia scatenando l’inferno. Si diffonde la notizia dei 12 morti per overdose tra Modena e Rieti. I detenuti prendono d’assalto le farmacie del carcere facendo razzia di farmaci e metadone, molti di loro sono tossicodipendenti. Una detenuta di Foggia riesce perfino ad avere qualche minuto a favore di telecamere fuori dal cancello espugnato dagli evasori foggiani. «Non immaginate cosa vuol dire essere richiusi tutto il giorno», urla a chi la sta riprendendo. I detenuti si arrampicano sui tetti, l’unico posto che forse, per qualche istante, riesce a restituire un ricordo di libertà. Le immagini che arrivano da Milano mostrano un gruppo di detenuti che dal tetto srotola uno striscione con su scritto “libertà”. Dall’alto di San Vittore inneggiano all’amnistia. Sotto nel frattempo si radunano le famiglie, una donna con bimba e passeggino urla con il megafono rivolto verso l’istituto: “fateli uscire!”.

Anche Poggioreale, il carcere di Napoli, dove non sono riscontrati casi, ha deciso di sospendere i colloqui tra i familiari e i detenuti, per evitare possibili contagi. E anche all’interno della casa circondariale napoletana è scoppiata la rivolta, anche qui i detenuti sono saliti sui tetti e lenzuola e cartoni sono stati incendiati. All’esterno del carcere ci sono le loro famiglie che gridano e tentano di sovrastare gli scudi della polizia.

«Una ragazza sui vent’anni, parlava di suo fratello dentro al carcere, faceva le corna e bussava sullo scudo di plastica di un poliziotto». Lo racconta una madre al telefono, il cellulare restituisce una voce preoccupata. «Ero davanti a Poggioreale l’8 marzo, mio figlio lo incontro lì dentro da due anni». Esita e tossisce. «I poliziotti ci hanno detto di stare calmi e io lo capisco ma il colloquio è l’unico momento in cui possiamo vedere i nostri figli, almeno ci facessero vedere che i detenuti stanno bene». Ma è sicura che lì non sta bene nessuno, «molti familiari hanno detto che vogliono gli arresti domiciliari, io capisco che questo non è possibile, ma è inutile prendersi in giro, sappiamo tutti come vivono le persone lì dentro. Questo virus mette paura a noi e io mi lavo le mani molto più di prima, ma mio figlio non so quante volte può lavarsi le mani e di sicuro non sta a un metro di distanza dai suoi compagni». È lucida e vorrebbe risposte, pensa che le rivolte in carcere dureranno ancora: «noi qui fuori ci facciamo l’anima a pezzi per loro che stanno lì dentro, io vorrei solo la sicurezza che anche in carcere loro siano al sicuro».

«In alcune carceri le misure erano già state intraprese – dice Alessio Scandurra di Associazione Antigone, da sempre in prima linea per i diritti dei detenuti – ma dopo il decreto del governo la situazione è degenerata». Prima della marcia indietro, l’esecutivo aveva disposto lo stop alle visite e alle attività di volontariato. Provvedimenti che hanno scatenato proteste a effetto-domino in tutta Italia. «Le azioni sono da condannare ma la paura è giustificata – secondo Scandurra – i detenuti sono ben consapevoli delle conseguenze che porterebbe il diffondersi del virus all’interno delle carceri». La diffusione si propagherebbe a macchia d’olio viste le condizioni di sovraffollamento nelle carceri italiane. Neanche l’apertura del governo è riuscita placare la rabbia dei detenuti. Le misure prevedono colloqui telefonici più frequenti con i familiari per supplire alla mancanza degli incontri faccia a faccia. «Ma queste disposizioni al momento sono inapplicabili: le capacità organizzative delle carceri non consentono colloqui frequenti». Nel frattempo le proteste si moltiplicano in tutta Italia. I detenuti continuano a chiedere amnistia e indulto. «Provvedimenti necessari – spiega Scandurra – bisognerebbe diminuire il numero di detenuti, ma per farlo è necessaria l’approvazione di entrambi i rami del Parlamento a maggioranza qualificata». Tempi troppo lunghi e inconciliabili con l’adozione dei decreti d’urgenza che il governo sta varando per contenere l’epidemia.