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Esclusiva

Aprile 25 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 5 2021
Il virus, l’America e il suo posto nel mondo

Mentre il coronavirus colpisce il pianeta, gli USA rinunciano a esercitare una vera leadership su scala globale. Cause e scenari futuri nell’intervista a Anthony Arend, studioso di politica internazionale alla Georgetown University

Con quasi un milione di contagiati e un quarto delle vittime mondiali, gli Stati Uniti sono il paese più colpito dalla pandemia di Covid-19. La gestione dell’emergenza da parte dell’amministrazione Trump è stata molto criticata. Oltre alle incertezze sul piano interno, a far discutere è la posizione che gli USA (non) hanno assunto a livello internazionale. Dalla sfida fra Trump e Biden attesa per novembre alla minaccia costituita da Cina e Russia, in che modo il coronavirus cambierà la politica americana? Zeta ne ha parlato con il professor Anthony Clark Arend, docente di Government and Foreign Service alla Georgetown University.

La reazione americana alla pandemia è stata molto discussa. Come giudica le mosse di Trump?

«A livello centrale gli Stati Uniti hanno risposto in modo inadeguato. Una delle ragioni è la carenza di leadership del presidente, che all’inizio ha ignorato gli scienziati e poi ha mandato messaggi contradditori. Non ha trattato il paese come un tutto e la debolezza del governo federale ha creato grande confusione.
Al tempo stesso gli USA hanno rinunciato a esercitare una leadership a livello globale e non hanno collaborato con le istituzioni mondiali. Gran parte della responsabilità va attribuita a Trump. Qualunque presidente del passato avrebbe fatto meglio di lui: penso ad esempio a George W. Bush e al grande lavoro che la sua amministrazione fece per gestire l’epidemia di Aids».

Ma è solo una questione di leadership? La debole reazione degli Stati Uniti va attribuita solo al presidente?

«Gli USA scontano decenni di mancanza di una vera strategia internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale favorirono la nascita delle Nazioni Unite e del sistema di Bretton Woods; stabilirono un quadro per i diritti umani ed esercitarono una forte leadership a livello globale. Ma con la caduta del Muro e la fine del comunismo gli Stati Uniti e le istituzioni da loro fondate hanno perso la bussola.
Il paese si è trovato senza una strategia di lungo periodo e l’Onu ha continuato a operare per inerzia. Seppur in forme diverse, ciò si è ripetuto durante le amministrazioni Clinton e Bush e anche con Obama. Ora con Trump gli USA hanno abdicato completamente dal loro ruolo di leader mondiali e alla debolezza internazionale si è sommato un deficit di leadership interna».

Il virus, l’America e il suo posto nel mondo
Anthony Arend insegna alla Georgetown University. È autore di Human Dignity and the Future of Global Institutions

Un vuoto di potere che in molti vorrebbero riempire. Penso alla Russia e soprattutto alla Cina.

«Mi preoccupa in particolare la Cina, che negli ultimi anni ha intensificato i tentativi di imporsi su scala globale. Economicamente ma anche politicamente: pensate ad esempio alla Belt and Road Initiative, un progetto che punta ad espandere l’influenza cinese in Eurasia. Ora Xi Jinping approfitta della pandemia per accelerare questo processo e la cosa mi spaventa.
Credo che la Cina sia una minaccia per la sicurezza mondiale e per il rispetto della dignità umana: lo suggerisce ciò che vi accade internamente, dalla creazione di uno stato di sorveglianza alla violazione dei diritti umani. Ma pericolosa resta anche la Russia, con Putin che vorrebbe sfruttare il Covid-19 per accrescere il suo peso in Europa. Il problema è che gli Stati Uniti non sono pronti a raccogliere tali sfide».

Le presidenziali americane di novembre come si inseriscono in questo quadro?

«Il coronavirus minaccerà le nostre società finché non troveremo un vaccino o una cura efficace; ci accompagnerà a lungo, forse per un paio d’anni. Il nuovo presidente dovrà gestire l’emergenza e le sue conseguenze. Se Trump sarà rieletto nulla cambierà: la polarizzazione politica si accentuerà ancora e si proseguirà sulla via dell’America First e dell’isolazionismo.
Invece se vincerà Biden si tornerà a una maggiore collaborazione tra democratici e repubblicani, un desiderio che vedo in tanti ventenni e trentenni. Con l’ex vice di Obama ci saranno più chance perché l’America torni a esercitare una forte leadership su scala mondiale. Biden non è il mio presidente ideale, non sarà il nuovo Roosevelt o Truman ma mi dà una speranza: può aprire la strada a un ritorno alla normalità prima che arrivino veri innovatori».