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Esclusiva

Aprile 25 2020
Ospedali e sicurezza: l’emergenza al tempo dell’emergenza

L’intervista a Danilo Moschetti, ingegnere specializzato in sicurezza e RTA di diverse strutture sanitarie laziali

Preparare un’emergenza non è facile. Soprattutto, non è facile preparare una risposta all’emergenza nell’emergenza. Danilo Moschetti è un ingegnere specializzato in sicurezza e protezione. Come Responsabile Tecnico Antincendio (RTA), ha portato le sue competenze all’interno di diversi ospedali laziali, collaborando con il gruppo che fa capo ad alcune ASL di Roma e alla ASL di Latina. Covid-19 ha cambiato anche il suo lavoro.

In cosa consiste la sua attività?

«Nel caso delle strutture ospedaliere, sono responsabile tecnico antincendio e mi occupo di gestione delle emergenze. Dal 2015, con un decreto molto importante per l’aspetto sicurezza, il mio ruolo permette a molte strutture ospedaliere, a volte anche non adeguate, di continuare a “esercitare”. Rispettando alcuni adempimenti e mettendo in pratica macrointerventi».

Può farci un esempio?

«Immagini l’emergenza Covid-19 senza comparti antincendio, pensando che il compito dell’RTA sia quello di trovare un’alternativa a un adempimento normativo. Ci sono in questo caso dei piani, spesso accompagnati da simulazioni. E nell’ultimo periodo sono state diverse perché l’emergenza ha creato grossi problemi alle strutture sanitarie sfalsando le normali prassi di sicurezza. Con il  decreto del 2015, l’alternativa per strutture che non hanno modo di mettersi in regola sono presidi di vigilanza h24 da parte di società specializzate, che svolgono un’importante attività di prevenzione. Questo tipo di controllo permette agli ospedali di andare avanti, seguendo le direttive dell’RTA».

Ospedali e sicurezza: l’emergenza al tempo dell’emergenza
Danilo Moschetti, RTA di diverse strutture sanitarie laziali

Cos’è cambiato con il Coronavirus?

«Molte sale operatorie regionali sono diventate terapie intensive, con un conseguente riadattamento dei moduli. Covid-19 comporta un rischio biologico e un presidio non può più avere, per facilitare i controlli, accessi multipli. Ci sono un ingresso e tutte le altre uscite. Chiuse. Una procedura permette al personale di aprire quelle porte (con una chiave piuttosto che con un maniglione antipanico) e far uscire le persone se necessario. Per evitare il contagio però, non si può far uscire un malato Covid. Nei reparti dedicati in toto al virus, il problema non c’è perché il paziente può essere spostato dalla terapia intensiva alla degenza in casi straordinari. In ospedali dove quest’opportunità non c’è, evacuazioni di questo tipo sono complicate».

Ci sono differenze di protocolli tra strutture con terapie intensive e strutture che ne sono prive?

«Sì, ma era così anche prima del virus. Per far evacuare una terapia intensiva di 14 persone, servono in media 45 minuti. Il tempo necessario a “stubare” le persone e a staccare i macchinari. E un primario ragiona in questo caso come un medico di guerra, cominciando a mettere in sicurezza le persone con maggiore aspettativa di vita. In alcuni ospedali romani abbiamo quindi utilizzato una procedura diversa, “bunkerizzando” la terapia intensiva perché arrivati alla conclusione che, con tempi ristretti per l’evacuazione, sia preferibile mettere nelle migliori condizioni un’area, eliminando tutti i possibili pericoli di incendio per avvicinarsi al “rischio zero”. In questo modo, con il cosiddetto “filtro a prova di fumo”, è difficile che un fuoco divampato all’esterno possa raggiungere le terapie intensive.

Con l’emergenza sanitaria, abbiamo dovuto mettere in campo delle procedure “cuscinetto” perché uno dei rischi maggiori negli ospedali è l’ossigeno, la cui somministrazione è aumentata a dismisura negli ultimi mesi. C’è una profonda differenza tra un normale processo di combustione in aria e in uno arricchito di ossigeno, elemento capace di sballare qualsiasi campo di infiammabilità. In questi casi, si richiedono procedure ben più attente».

Come hanno reagito le strutture laziali?

«Bene, almeno in quelle con cui collaboro tutto procede in maniera corretta. Siamo stati avvantaggiati dal buon lavoro di prevenzione fatto prima, considerando che in alcune strutture facciamo prove di evacuazione anche a distanza di pochi mesi. In molti casi poi, la presenza di vigili del fuoco privati (in numero crescente a seconda della complessità della struttura) è importante. Sono squadre che permettono di organizzare la prevenzione, offrendo anche aiuti per compiti non loro. Viste le condizioni di alcune strutture, non è sempre facile garantire la sicurezza». 

Ospedali sicurezza emergenza

Fino a qualche giorno fa, la città di Fondi è stata zona rossa. Nei territori ad alto rischio di contagio, cambia qualcosa a livello operativo?

«Nel caso dell’ospedale di Fondi, non sono io l’RTA, ma posso dire che in una zona rossa, che adotta già le stesse procedure descritte, il modus operandi di solito non cambia. Cambia il fatto che Covid-19, in quanto emergenza biologica, comporti per il personale impegnato nell’intervento il dover indossare dispositivi di protezione per evitare il contagio».