Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Marzo 1 2022
A San Pietroburgo notizie solo via Internet

La scarsa disponibiltà di informazioni sul conflitto in Ucraina contribuisce a mantere la città portuale russa sotto un velo di apparente tranquillità

«Sono venuta in Russia per studiare. Non mi aspettavo di trovarmi in un Paese che, a pochi giorni dal mio arrivo, sarebbe entrato in guerra». Federica è iscritta al corso di Lingue e letterature moderne all’università di Tor Vergata e dal 2 febbraio si trova a San Pietroburgo. «Sono partita tramite il progetto Erasmus. Sono al terzo anno di studi e volevo completare il mio percorso come tanti altri ragazzi, facendo un’esperienza all’estero per imparare una lingua straniera. Ero qui quando la guerra è scoppiata, sui media russi non se ne parlava, non avremmo saputo nulla se non fosse stato per le informazioni via Internet».

In città, anche a poche ore di distanza dal 24 febbraio, giorno in cui il presidente russo Vladimir Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina, non c’era nessun segno che lasciasse presagire quello che sarebbe accaduto. «Non avevamo idea del ritmo a cui stava crescendo la tensione tra Mosca e Kiev», racconta Federica. «Prima della guerra, non c’erano informazioni sui media locali. Solo il giorno dopo l’inizio delle operazioni militari io e i miei amici siamo riusciti a sentire qualcosa mentre eravamo in taxi, alla radio».
Dopodiché, il silenzio. «Io, come gli altri studenti del dormitorio, ci sentivamo tranquilli. La vita a San Pietroburgo continuava come se nulla fosse».

Si stupisce, Federica, quando riceve la chiamata da parte del sindaco della sua città in provincia di Roma, Gallicano. «In molti mi hanno contattato. Ho sentito prima il tono allarmato dei miei genitori al telefono, poi sono arrivati i messaggi di alcuni miei docenti. Quando anche il sindaco si è mobilitato per offrire aiuto per tornare a casa, mi sono agitata».

Leggi anche: «L’Europa espelle gli studenti russi» ma è una bugia di Mosca

Messaggi giungono anche dall’Università statale di San Pietroburgo. «Sono arrivate mail con cui si invitavano gli studenti a continuare a seguire le lezioni – dice Federica – Hanno tentato di rassicurarci dicendo che tra una settimana saremmo potuti tornare in presenza. Io ho deciso di non farlo, non riesco a trovare il senso di seguire i corsi mentre fuori c’è la guerra». 

I provvedimenti presi dalla comunità internazionale contro la Russia sono stati presto avvertiti anche dagli studenti. «Le comunicazioni con l’Italia sono diventate difficili. Su Facebook è impossibile visualizzare qualsiasi tipo di immagine. Instagram funziona male. WhatsApp è operativo, ma ho deciso di scaricare Telegram e ho chiesto alla mia famiglia di fare altrettanto perché ho paura di non riuscire più a parlare con loro da un momento all’altro», dice Federica, che riporta come la routine cittadina sembri non essere stata per nulla turbata dagli scontri al confine occidentale.

Una calma, quella della città portuale russa, presto tradita. «Credo che le persone siano costrette a fingere che stia andando tutto bene. Il centro è pieno di militari armati. Il giorno dopo l’invasione, centinaia di persone si sono accalcate nei supermercati. Anche le banche erano piene di gente che andava a ritirare quanti più contanti possibile. Sono andata anche io a prelevare, e dopo poche ore non c’era più mezzo rublo. Le carte di credito ancora funzionano, a parte alcuni circuiti. I miei amici e io siamo preoccupati perché se non potessimo avere accesso neanche alle nostre carte resteremmo senza soldi e senza la possibilità di andare via. Quasi tutti si stanno organizzando per tornare a casa il prima possibile».

Federica, come tanti altri studenti, sta pianificando il ritorno. Dovrà arrivare in pullman fino in Estonia per riuscire a prendere un aereo verso Milano e poi un treno diretto a Roma. Mentre guarda il dormitorio universitario che si svuota, pensa a chi rimarrà lì. «C’è un ragazzo che conosco, russo, che studia alla statale di San Pietroburgo. Io sto per tornare in Italia, mentre lui resterà qui, con il timore di essere chiamato alle armi da un momento all’altro».