Saracinesche abbassate, l’insegna e i tabelloni della programmazione settimanale spaccati e coperti di graffiti. Dietro alle vetrate ingiallite si scorge ancora la locandina di un vecchio film drammatico del 2008, Hunger, diretto da Steve McQueen. Siamo all’ex cinema Empire di viale Regina Margherita ma scene simili si vedono ovunque in giro per la Capitale. Sono decine le sale cinematografiche chiuse negli ultimi trent’anni. Non solo cinema di piccole dimensioni che non hanno retto la competizione dei multisala, ma anche spazi iconici del secondo Novecento: il Metropolitan, l’Empire, il Palazzo, il Roma. Adesso molti di questi rischiano di essere riconvertiti in supermercati, ristoranti o attività commerciali più remunerative. Il cambio di destinazione d’uso sarà permesso dalla nuova legge di semplificazione urbanistica promossa dalla regione Lazio. La normativa riguarda tutti i centri culturali polifunzionali chiusi o dismessi da dieci anni alla data del 31 dicembre 2023.

Contro la misura si sono già scagliati decine di attori, produttori e registi. Con una lettera aperta, firmata, tra gli altri, anche da Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Paola Cortellesi e Carlo Verdone, i lavoratori dello spettacolo difendono il «valore storico e culturale dei cinema». «La loro chiusura o trasformazione in centri commerciali rappresenta una perdita irreparabile per la società». L’appello è stato accolto dal Presidente della Regione Francesco Rocca che ha convocato un tavolo di confronto nel pomeriggio del 4 febbraio con l’Associazione Nazionale delle Industrie Cinematografiche e altri rappresentanti del settore. Rocca si dice preoccupato «di non lasciare in mano le sale alla speculazione», ma propone una linea di compromesso. «Alcune società hanno fondi a sufficienza per tenere chiusi luoghi che possono poi tornare sul mercato con un’altra finalità e un valore decisamente superiore. Questa è una parte della misura che mi convince e su cui stiamo lavorando per trovare il giusto punto di caduta». Rocca aggiunge di non avere una responsabilità diretta nella creazione del fenomeno, che «è sempre esistito». Nei prossimi 15 giorni è prevista la stesura di un testo condiviso che tenga conto delle richieste del settore.
Carlo Verdone auspica la «creazione di nuovi spazi culturali, simili all’esperimento del Cinema Troisi a Trastevere»: sale cinematografiche per le proiezioni e gli incontri con i registi, aule studio, caffetterie. Tutto in unico spazio polifunzionale. Un progetto simile era stato proposto dal Centro Sperimentale di Cinematografia (Csc) negli ambienti dell’ex Fiamma di Via Bissolati, chiusa nel 2017. La rinascita della sala era stata annunciata nel 2022 in conferenza stampa dallo stesso ministro della Cultura Dario Franceschini. Al suo interno era previsto la proiezione di pellicole restaurate della Cineteca Nazionale. L’epilogo, però, non è stato dei più felici: i lavori non sono mai giunti a termine e la sala è stata rimessa in vendita, versando oggi in uno stato di totale abbandono. L’ingresso è sbarrato da una grossa tavola di legno, il marciapiedi circostante dissestato e recintato da transenne. C’è anche una panchina divelta, che ogni notte fa da letto a un senza tetto. «È un cantiere fermo da anni», racconta un commerciante della zona. «La punta di iceberg di un quartiere che, dopo la gloria degli anni ’60, ha vissuto un progressivo impoverimento e svuotamento. Nei pressi di Via Vittorio Veneto oggi ci sono solo uffici, banche e assicurazioni».

Un destino migliore è toccato all’ex cinema di Via Stamira, 5 a Piazza Bologna. Dopo essere stato trasformato in una sala bingo, utilizzata dalla criminalità per riciclaggio di denaro, lo spazio è stato confiscato e affidato all’associazione anti-mafia Libera. Oggi è Extra-libera, un centro culturale e multimediale che don Luigi Ciotti definisce la «realizzazione di un sogno molto concreto»: uno spazio di documentazione con incontri e proiezioni sulle vittime della mafia. Uno dei pochi casi virtuosi in cui un cinema è riuscito a salvarsi da un destino di speculazione commerciale e mantenere il suo ruolo originario di polo culturale e luogo di aggregazione.