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Esclusiva

Luglio 1 2022
La guerra mondiale delle fake news, dal Covid-19 all’Ucraina

Alla Luiss il forum di IDMO, Global Information War, in cui esperti internazionali hanno parlato di come portare avanti la lotta alla disinformazione

Dal Covid all’invasione russa dell’Ucraina, l’Europa si è trovata a fare i conti con l’impatto che la disinformazione ha sulle nostre vite. Il ruolo che tutti i cittadini possono giocare nel contrastarla è l’argomento centrale del forum Global Information War, organizzato alla Luiss Guido Carli dall’Italian Digital Media Observatory, che ha visto la partecipazione di numerosi esperti internazionali nella lotta alle notizie false.

La “guerra dell’informazione” procede di pari passo con quella sul campo. La prova è che ogni giorno siti italiani rilanciano le narrative costruite dal Cremlino per diffondere l’idea che la guerra in corso sia stata provocata dalla Nato e dall’Ucraina.

«Pur riportando i fatti, dobbiamo avere chiaro che questa non è una guerra tra due Paesi, ma un’invasione», ha affermato nel primo intervento della giornata Stefania Battistini (keynote speaker dell’evento), giornalista del Tg1 che ha passato in Ucraina oltre cento giorni dall’inizio dell’invasione testimoniando gli incessanti bombardamenti sulle città ucraine e gli orrori delle fosse comuni scoperti subito dopo il ripiegamento a Est dell’armata russa. «Di solito quando si coprono i conflitti si va anche dall’altro lato del confine per dar voce alle vittime dell’altra parte. Ma i russi non vivono nei rifugi. Non ci sono due lati della storia». La giornalista ha ammesso che mantenersi neutrali nel reportage è molto difficile, data la situazione, ma questo non esime dal verificare tutte le notizie che si raccontano, anche quando provengono dalla parte aggredita.

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La nostra arma è l’alfabetizzazione digitale

Per combattere in maniera efficace quella che il coordinatore di IDMO Gianni Riotta definisce una «guerrilla informativa» occorre che l’intera popolazione sia in grado di difendersi dalle informazioni false e fuorvianti. «Tutti quanti contano, non solo i dipartimenti di comunicazione strategica e i giornalisti», ha affermato Maia Klaassen, coordinatrice del programma di Media Literacy dell’università di Tartu, in Estonia. Il lavoro di Klaassen ha come obiettivo la sempre più completa diffusione dell’alfabetizzazione digitale, così che il pubblico impari a non favorire la circolazione di notizie false che cercano di far leva sulla rabbia e sull’indignazione dei lettori. «Una componente chiave è la motivazione, dobbiamo fare in modo che tutti considerino la sicurezza informativa un proprio problema». Il governo estone ha reso obbligatorio un corso di Media Literacy nelle scuole superiori e ogni anno si pubblica un annuario che contiene tutte le principali narrazioni false contro l’Estonia, in modo che la popolazione possa essere consapevole di questo tipo di minacce.

Intervento Maia

«Il 99 per cento della disinformazione serve solo a distrarre la popolazione, bisogna concentrarsi sull’1 per cento che è davvero pericoloso», ha sottolineato Andy Pryce, capo dell’ufficio contro la Disinformazione del Regno Unito. Concentrandosi sul caso russo, Pryce ha spiegato che la disinformazione si basa su quattro “D”: Denial, la pura e semplice negazione dei fatti, come nel caso delle fosse comuni di Bucha; Distract, il tentativo di “distrarre” dalle questioni principali: un esempio relativo all’invasione russa sono i discorsi che coinvolgono la Transnistria, la regione separatista della Moldavia; Le ultime due “D” sono Dismay, l’intento di spaventare la controparte per paralizzarla; Dismiss, la pratica di dipingere gli altri come paranoici, esagerati e bugiardi.

La disinformazione in una prospettiva internazionale: non solo Ucraina

«Disinnescare le mine delle fake news tramite un’adeguata Media Literacy e un monitoraggio rigoroso e costante è la chiave del successo in questa insidiosa guerra globale»: Christian Masset, ambasciatore francese in Italia dal 2017, si è espresso così sulla centralità dell’osservatorio europeo sulla disinformazione online (EDMO). «La propaganda e le notizie false esistono da sempre. La differenza sostanziale che viviamo oggi rispetto al passato è legata alla viralità e alla velocità con cui vengono trasmesse. Se non ci impegneremo a credere nei nostri valori saremo estremamente permeabili. Democrazia, tolleranza, amore per la verità, stato di diritto: se non rinvigoriremo nella cittadinanza la consapevolezza dei valori fondanti dell’Unione Europea, perderemo questa guerra»: Masset non ha dubbi, ognuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo. «Gli Stati con le loro policy possono fare molto ma non tutto. Il senso di attaccamento alle buone pratiche deve radicarsi nella società civile per poter fiorire».

La guerra mondiale delle fake news, dal Covid-19 all’Ucraina

Dello stesso avviso Paulina Deryło-Peltz, che dall’inizio dell’invasione su larga scala del territorio ucraino è impegnata nella lotta alla disinformazione russa con la Stratcom Unit del ministero degli Esteri polacco. «C’è stato un aumento del 500 per cento nella diffusione di fake news contro il popolo ucraino dall’inizio dell’aggressione militare. A portare avanti questi bombardamenti mediatici sono siti web con basi radicalizzate e account anonimi di Twitter, Telegram e Facebook. Questi disseminatori d’odio diffondono una narrazione che profetizza problematiche irreparabili nell’accesso all’assistenza sanitaria per i cittadini polacchi a causa dei profughi ucraini. Ma in Polonia abbiamo una società civile molto attenta a queste dinamiche: sono anni che abbiamo a che fare da vicino con la disinformazione russa». La nazione guidata dal presidente Duda è in prima linea nell’assistenza a coloro che fuggono dalla barbarie della guerra: 4,3 milioni di rifugiati ucraini hanno trovato accoglienza entro i confini polacchi dallo scorso 24 febbraio. 200mila di loro sono già entrati nel mercato del lavoro. 200mila bambini sono entrati nel sistema di educazione e altri 540mila sono stati registrati, finendo l’anno scolastico da remoto in attesa dell’inizio di un nuovo percorso didattico lontani da casa.

Le narrative fuorvianti possono però avvalersi anche di strumenti più sottili per creare confusione nel pubblico. «La minaccia della disinformazione si cela nell’infodemia e nell’infotainment. Le giovani generazioni non riescono più a seguire con spirito critico il flusso informativo. La connessione tra giornalisti e pubblico si sta sgretolando. La semplificazione becera di argomenti complessi legati alla realtà non fa altro che alimentare questo caos» ha detto Pablo Federico Ibarguen Ruiz, consigliere economico dell’ambasciata colombiana in Italia.

La Consigliera ministeriale dell’ambasciata ucraina, Oksana Amdzhadin, ha parlato dell’esperienza diretta dell’attacco mediatico scatenato dalla Russia prima e dopo l’invasione. «Le fake news sono soldati nella guerra d’informazione. La Russia utilizza volutamente messaggi contraddittori con il fine di confondere l’avversario e alcune narrative vengono rilanciate anche da media occidentali e italiani». Ha poi ribadito che «la guerra in corso non riguarda solo Russia e Ucraina, ma è un attacco alla tolleranza, alla fratellanza e alla fiducia pubblica che per secoli sono stati i pilastri della pace, ma oggi la disinformazione prende di mira proprio questi valori». Sulla stessa linea l’intervento del Capo Ufficio Stampa dell’ambasciata tedesca, Frank Horst, che ha ricordato come in una società democratica anche i media di Stato debbano essere liberi e indipendenti.

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Gli Stati Uniti sono stati in prima linea nel contrastare su tutti i livelli l’offensiva russa contro l’Ucraina. Fondamentale è stato il prebunking (la “smentita preventiva”), contro i potenziali pretesti che il Cremlino intendeva utilizzare per giustificare l’invasione. Negli USA è infatti attivo dal 2016 il Global Engagement Center (Gec), una sezione del dipartimento di Stato che si occupa di contrastare la disinformazione proveniente da altri Stati o formazioni terroristiche come Al Qaeda. Una struttura organizzata è necessaria per fronteggiare «l’ecosistema mediatico messo in campo dalla Russia», ha spiegato Lilian Wahl-Tuco, del Dipartimento di Stato americano. «La questione dei cereali, per esempio, dimostra come Mosca sappia servirsi di vere e proprie bugie per costruire la propria autorappresentazione, esattamente come faceva l’Unione Sovietica. Solo che oggi il panorama informativo permette di immettere disinformazione direttamente nel sistema nervoso di una comunità a una velocità mai vista prima».

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Per la Lituania ha parlato da remoto Akvilė Katilienė, capo dell’analisi per il sito DebunkEU.org che si occupa di disinformazione e misinformazione nelle regioni baltiche. «La Russia cerca di distogliere lo sguardo dagli eventi in Ucraina tramite social media e gruppi Facebook». Una diapositiva della presentazione era dedicata all’aspetto economico: il Cremlino sborsa oltre 1,3 miliardi per diffondere notizie false, quindi gli sforzi dell’Unione Europea sono ridimensionati perché è arduo controbilanciare quella spesa.

Prendendo spunto dal dibattito sull’Ucraina, l’ambasciatore israeliano in Italia, Dror Eydar, ha spostato invece l’attenzione su un’altra tematica delicata e controversa dello scenario internazionale relativa alla gestione dei profughi palestinesi. L’ambasciatore ha voluto difendere la posizione del proprio Paese affermando che le narrazioni sui media occidentali tendono a definire Israele come una potenza imperialistica, ma ha tenuto a ribadire che anche il proprio governo ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina e accolto migliaia di profughi ebrei in fuga dal conflitto.

Dal Canada si è collegato il dottor Aengus Bridgman dell’osservatorio dell’ecosistema dei media della McGill University e ha raccontato la disinformazione nel suo paese, analizzando il caso delle elezioni federali del 2021. «Dobbiamo conoscere l’impatto della disinformazione per vedere se e come sta cambiando le opinioni delle persone e quindi capire come affrontarla correttamente».

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A seguire, è salita sul podio Luiza Pufu, consigliere diplomatico dell’Ambasciata di Romania in Italia. Ha elencato le cinque narrazioni false più diffuse sul suo Paese e si è soffermata su un messaggio che era circolato secondo cui i rumeni erano obbligati ad arruolarsi. Il ministro della Difesa fu costretto a emanare un comunicato per chiarire che, secondo la legge, la leva obbligatoria entrava in vigore solo in stato di guerra, di mobilitazione o di assedio. La notizia si era perfino diffusa anche tra i cittadini all’estero che pensavano di dover tornare in patria per arruolarsi.

Terminato il blocco dedicato alle ambasciate internazionali, l’evento è proseguito con un focus sulla disinformazione in Italia. Sono intervenuti i partner di IDMO e Dante Brandi, capo dell’unità di coordinamento della comunicazione del Ministero degli affari esteri italiano.

L’intervento finale è stato di Irene Pasquetto, che ha presentato la ricerca Come individuare e contrastare le operazioni di disinformazione in Italia. Ha raccontato che le notizie false vengono diffuse da influencer che le raccontano ai loro seguaci: «La disinformazione non va dall’alto in basso, è un processo partecipativo dove il pubblico contribuisce alla creazione di disinformazione». Non bisogna solo contrastare le figure principali che diffondono le notizie false, ma anche i follower che le rilanciano: «è questa la vera sfida».