«5.317.219 rifugiati dall’Ucraina hanno attraversato i paesi vicini in cerca di sicurezza dal 24 febbraio». È il banner che l’UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati, mantiene aggiornato sul proprio sito sin dall’inizio dell’invasione russa. A questi si aggiungono, secondo un report dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, almeno 7,7 milioni di sfollati interni all’Ucraina e oltre 13 milioni di persone bloccate nelle aree del conflitto. Si tratta di una massa di profughi senza precedenti per cui l’Unione Europea ha messo in campo per la prima volta la normativa sulla protezione temporanea, nata proprio per far fronte ad un accesso massiccio di sfollati ai confini dell’Unione. In una situazione di emergenza di queste proporzioni la diffusione di disinformazione sull’argomento, sia essa frutto di confusione e pregiudizi o di un disegno strutturato, trova terreno fertile per diffondersi ed è dunque necessario fare chiarezza sul ruolo dell’Italia nell’emergenza profughi ucraini e sui numeri con cui ci troviamo a che fare.
I numeri: quanti profughi ucraini sono arrivati in Italia e le risorse messe in campo
Il primo punto da mettere in chiaro è il numero di profughi che sono giunti nel nostro paese. Il conteggio ufficiale viene aggiornato quotidianamente sul sito del Ministero dell’Interno: al 30 aprile si contano 104.577, di cui 54.111 donne, 13.426 uomini e 37.039 minori. Il totale supera la popolazione dell’intera città di Ancona, ma siamo ben lontani dalle prime catastrofiche previsioni che parlavano di oltre un milione di rifugiati da redistribuire soltanto in Italia. La Protezione civile spiega inoltre che il numero dei migranti preso in considerazione dal Ministero riguarda gli ingressi in Italia, che comprendono sia chi si ferma nel nostro paese sia chi è solo di transito. La tendenza più significativa è che alcune di queste persone hanno deciso di far ritorno in Ucraina nel momento in cui l’offensiva russa sull’ovest del Paese si è allentata. E rientrare in patria quando ce ne saranno le condizioni è l’intenzione della gran parte dei profughi, una tendenza che di per sé smentisce quella retorica dell’invasione che in Italia, specie negli ambienti di destra, accompagna tutte le grandi ondate migratorie. Sono numerosi i tweet e i post che già lamentano il fatto che l’Italia dovrà mantenere altre migliaia di “badanti e immigrati”, non contando che se l’integrazione per alcuni di questi potrà essere una prospettiva, al momento siamo ancora in fase di piena emergenza umanitaria.
L’altra grande questione da verificare è se l’Italia abbia le risorse per accogliere queste persone. Vediamo ancora una volta cosa dicono i numeri. Il governo ha stanziato per l’accoglienza un totale di 428 milioni di euro, una cifra contenuta e che certamente andrà incrementata, da finanziare mediante prelievi fiscali sugli extra profitti delle aziende che hanno beneficiato dell’aumento dei costi dell’energia. Niente scostamenti di bilancio dunque. Passando all’aspetto organizzativo, il nostro paese si trova ad oggi a dover accogliere meno di 100.000 rifugiati. 16.500 posti sono quelli ricavati dall’ampliamento della disponibilità nel sistema di accoglienza Cas (Centri di Accoglienza straordinaria) e Sai (Strutture di Accoglienza e Integrazione), le strutture per richiedenti asilo e protezione: dovrebbero essere attivati 5.000 posti nei Cas e 3.000 nel sistema Sai, a cui si aggiungono 5.000 posti Sai già finanziati per l’emergenza afghana e una riserva di 3.530 posti riservati ai nuclei familiari. Il decreto legge 21/2022 prevede di ospitare 15.000 persone tramite il meccanismo dell’accoglienza diffusa nelle strutture messe a disposizione da comuni, associazioni e terzo settore, per le quali è previsto un contributo di 33 euro per ogni ucraino. In tal senso la protezione civile ha ricevuto candidature per oltre 26.000 posti letto. Il governo è poi disposto a finanziare 60.000 profughi che abbiano trovato autonoma sistemazione con un contributo di 300 euro al mese a persona e 150 per ogni figlio minorenne (per un massimo di 900 euro a famiglia). Quest’ultimo provvedimento ha una durata massima di 90 giorni, passati quali saranno necessarie ulteriori misure, ed è assegnato al rifugiato ucraino in prima persona, non alla famiglia italiana che eventualmente offra ospitalità. Il totale supera di poco i 90.000 posti, il che dovrebbe essere appena sufficiente a far fronte alle necessità delle persone attualmente presenti in Italia. Ma come sempre il divario tra le disposizioni dei decreti e l’attuazione non manca.
«All’inizio della guerra i posti disponibili nei Cas erano 7.000 e il primo decreto ne ha aggiunti 5.000, oltre a disporre la possibilità di utilizzare i residui della riserva di posti destinati agli afghani», spiega Cesare Mariani dell’associazione di volontariato Naga. «Ma è proprio l’esperienza afghana insegnarci che tra le disposizioni e l’effettiva attivazione dei posti possono passare anche sei mesi, senza contare che molte strutture erano già sovraffollate prima della guerra». La gran parte dei profughi è stata accolta da parenti e amici della comunità ucraina già presente in Italia (che conta circa 230.000 persone). «È solo grazie a questo e alla grande solidarietà dimostrata dalle strutture private che si è evitata finora una situazione drammatica, ma in assenza di ulteriori provvedimenti lo diventerà presto». L’associazione ha notizie di varie famiglie che vivono in appartamenti sovraffollati, fino a dieci persone in un bilocale, mentre il contributo di 300 euro a persona è a malapena sufficiente per coprire le spese affrontate dalle famiglie ospitanti e non basta assolutamente per mettere i profughi in condizione di autosufficienza. Un contributo che per ora è stato solo annunciato e per cui partiranno a breve le procedure per farne richiesta. Anche per questo alcuni hanno preferito tornare in Ucraina non appena è stato possibile, piuttosto che rimanere in Italia in una situazione così precaria.
Si può concludere che con le attuali misure messe in campo l’Italia ha le risorse per accogliere un numero di profughi non molto superiore a quelli attualmente presenti e solo per un periodo di tempo limitato. Se il conflitto dovesse prolungarsi e l’emergenza umanitaria allungarsi occorreranno provvedimenti e stanziamenti più consistenti.
Ci riportano il COVID?
Una narrativa molto diffusa contro i profughi è che, essendo la popolazione ucraina scarsamente vaccinata contro il Covid-19, ci sia il pericolo che riaccendano l’epidemia proprio quando eravamo sul punto di uscirne. È vero che il tasso di vaccinazione della popolazione ucraina al momento dell’invasione non arrivava al 35%, ma i numeri ci dicono che i timori di un riacutizzarsi dell’epidemia a causa dell’arrivo dei profughi sono infondati. Da un lato, anche se per assurdo tutti gli ucraini accolti fossero stati positivi si tratterebbe di un numero di casi appena superiore a quelli registrati in Italia il solo 20 aprile (99.848). La realtà è comunque diversa, come conferma il dottor Paolo Parente, responsabile dell’accoglienza sanitaria per l’emergenza ucraina su tutto il territorio di Roma: «Tutti gli arrivi vengono sottoposti a tampone e il tasso di positività che riscontriamo all’arrivo è intorno all’1%, mentre in Italia superiamo il 15%». Per quanto riguarda i vaccini «Su 9.000 persone accolte abbiamo registrato 1.200 vaccinazioni avvenute all’estero e somministrato ulteriori 1.800 dosi». Una percentuale del 20% che però è destinata ad aumentare secondo il professor Parente: «Parliamo di persone che fuggono da una guerra e arrivano da 40 ore di viaggio, anche per questo rifiutano la vaccinazione immediata, ma poi magari tornano da noi o in altri hub appena capiscono che dovranno stare in Italia per parecchio tempo». Il decreto emanato dal governo il 28 marzo prevede che l’ingresso nei centri di accoglienza sia permesso solo a chi è vaccinato o tamponato nelle precedenti 48 ore. Per il resto i profughi ucraini devono seguire le stesse norme di contrasto all’epidemia previste per i cittadini italiani. Al momento dell’arrivo vengono effettuati anche screening e vaccinazioni contro altre malattie come la tubercolosi, anche qui con una bassissima percentuale di diagnosi. «Nessun rischio epidemiologico all’orizzonte», conferma il professor Parente.
Un trattamento razzista nei confronti degli altri profughi?
L’ultimo punto controverso è il presunto diverso trattamento che l’Europa e l’Italia starebbero riservando ai profughi ucraini rispetto a quelli provenienti da altre zone di conflitto. Una narrativa che è entrata anche nel dibattito politico italiano, quando il leader della Lega Matteo Salvini ha invitato ad accogliere i «profughi veri» provenienti dall’Ucraina, e che è stata ampiamente cavalcata dagli agenti di disinformazione russa attraverso la diffusione sui social di hashtag come #racisteu. Ma l’Italia sta davvero trattando in maniera diversa i profughi ucraini? Innanzitutto va ribadito ancora una volta che si tratta di una situazione mai affrontata prima dall’Europa, dato che il conflitto ucraino ha causato in due mesi oltre 5 milioni di profughi, quando quello siriano ne ha causati 5,6 ma in otto anni (Dati UNHCR). Proprio per questo è stata attivata la normativa sulla protezione temporanea che offre un titolo di soggiorno che ha però la durata di un anno e può essere prorogato fino a un massimo di tre. Il decreto attuativo varato dal governo Draghi specifica che la normativa si applica non solo ai cittadini ucraini, ma anche a stranieri e apolidi residenti in Ucraina con regolare permesso del soggiorno prima del 24 febbraio. Questa frase contiene il principale punto cieco del decreto Ucraina, in quanto rimangono fuori dalle tutele previste tutti coloro che erano fuggiti dall’Ucraina nei giorni precedenti all’invasione e gli stranieri irregolari in fuga dalla guerra. L’unica opzione per questi soggetti è di richiedere la normale protezione internazionale che però prevede passaggi burocratici molto più lunghi e complessi.
Per quanto riguarda la disparità di trattamento rispetto a precedenti crisi umanitarie, pur se i numeri sono di proporzioni totalmente differenti, il Report 2021 della Fondazione Migrantes evidenzia come, pur nel permanere di ritardi e difficoltà, si nota un aumento nel riconoscimento del diritto d’asilo nel nostro paese. Fra gennaio e agosto 2021 sono state accolte il 40% delle richieste di protezione presentate contro il 21% del 2019 e il 25% del 2020, con un picco del 97,5 % nel caso della crisi afghana per cui l’Italia si è impegnata direttamente nell’evacuazione di oltre 4.000 persone. Un aumento dovuto anche all’approvazione della legge 130/2020 sulla protezione speciale volta a tutelare tutte le persone che arrivano irregolarmente in Italia, ma non possono essere espulsi per motivi umanitari e costituzionali. Il report segnala comunque il permanere di lentezze burocratiche nelle procedure e fenomeni di ghettizzazione dopo la prima accoglienza, segno che sul lato dell’integrazione siamo ancora lontani da una condizione ideale.
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