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Esclusiva

Maggio 21 2022
«Il conflitto dimenticato è un conflitto mal raccontato»

La crisi in Ucraina obbliga a riflettere su tutte quelle guerre dimenticate che si combattono ancora oggi nel mondo

Sono 610 mila le persone uccise in undici anni di guerra in Siria, di cui 13 mila bambini. In Yemen, dopo 7 anni di conflitto, le vittime sono 337 mila. Dalla Siria allo Yemen, dal Mali alla Libia, dall’Etiopia alla Palestina. Non esiste soltanto la guerra in Ucraina. Sono molti i conflitti che a varie riprese, con momenti d’intensità maggiore e minore, si combattono tutt’oggi nel mondo. Guerre o guerriglie che vanno avanti da anni.

«Ricordo che l’Afghanistan è l’emergenza più grande del pianeta con 20 milioni di persone che non riescono a mangiare ma sono state completamente dimenticate». Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, pur comprendendo il perché di tutto questo interesse nei confronti di un conflitto che si sta combattendo alle porte dell’Europa, non riesce a capire come una guerra possa essere più importante di un’altra. 

«Oggi siamo tutti giustamente indignati per quello che sta succedendo in Ucraina, inviamo aiuti e siamo disposti ad adottare un bambino ucraino. Ma la domanda che mi pongo spesso nel mio lavoro è: dove stavano tutte queste persone mentre bombardavano l’ospedale di Sanah in Yemen? Dove stavano quando bombardavano l’ospedale di Aleppo? Io tutta quest’indignazione non l’ho vista, eppure anche lì sono morti bambini e mamme incinte».

In Siria la Commissione d’inchiesta internazionale Onu ha definito “devastante” l’impatto del conflitto che va avanti da 11 anni. Centinaia di migliaia di persone sono state uccise, più della metà della popolazione è stata sfollata. Il 90% dei siriani vive al di sotto del tasso di povertà e dipende dagli aiuti umanitari. Per quanto al momento la situazione appaia in stallo, i combattimenti per la conquista del territorio non sono mai terminati completamente. Tra luglio e dicembre 2021 c’è stato un intensificarsi dei bombardamenti. La lotta per la conquista territoriale e per il potere è ancora in corso, mentre gran parte del paese e delle sue infrastrutture è stato completamente distrutto.

Nel Tigray, zona di confine tra Eritrea ed Etiopia, si è riacceso il conflitto nei primi mesi del 2021. «Una guerra intestina», così è stata definita da molti attivisti scappati dal Corno d’Africa, che va avanti da decenni. Ha causato migliaia di morti e un esodo di massa, ma è necessaria al mantenimento di un governo autoritario come quello di Isaias Afewerki. Il presidente dell’Eritrea ha reso queste guerriglie il pretesto perfetto per mantenere una presidenza ad interim, dove i cittadini, privati di qualunque libertà, non hanno alternative ai lavori forzati celati sotto le vesti di un servizio militare senza fine. Sono 500 mila i morti di questa guerra di confine, definita come una catastrofe umanitaria in cui l’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite denuncia “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”.

La continua guerra civile che affligge la Libia dalla morte del dittatore Mu’ammar Gheddafi sembra non riuscire ad arrivare ad una fine, neanche con l’instaurazione di un governo internazionalmente riconosciuto. Questa situazione ha esasperato la condizione dei migranti che cercano di arrivare in Europa attraverso il Mediterraneo, rendendo la Libia un «lager a cielo aperto», come lo ha definito Iacomini.

Atlanteguerre.it riporta come in Yemen il 2020 e il 2021 siano stati gli anni più cruciali dall’inizio del conflitto nel 2015. Quell’anno la Coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita iniziò a bombardare i territori occupati da un gruppo di insorti musulmani sciiti sostenuti dall’Iran che avevano preso il potere a Sana’a nel gennaio dello stesso anno. Le istituzioni, a cominciare dal governo riconosciuto dalla comunità internazionale, sono sempre più deboli, mentre la crisi economica e quella umanitaria peggiorano. Il conflitto scoppiato sette anni fa non è che l’apice di una serie di conflitti che hanno attraversato lo Yemen fin dall’unificazione nel 1990 tra nord e sud, come riporta Ispi. L’inasprimento della guerra negli ultimi due anni è dovuto ad una diplomazia rimasta paralizzata in un paese già povero prima dell’inizio della guerra e oramai in una crisi umanitaria arrivata al limite.

Il conflitto israelo-palestinese, iniziato decenni fa, sembra sempre più lontano dall’arrivare a una conclusione. Non riconosciuta come una vera e propria guerra, se non in periodi di attacchi intensificati, vede una serie di aggressioni e rappresaglie da parte dello stato israeliano per riuscire a conquistare tutta la “Terra Promessa”, con risposte violente del gruppo terroristico Hamas. Un conflitto definito “crisi” dai media italiani, che, però, solo nella striscia di Gaza ha fatto più di quattro mila morti sul lato palestinese negli ultimi vent’anni.

«Questi sono conflitti dimenticati quando vogliamo che si dimentichino. La dimenticanza (lo abbiamo capito con l’Ucraina ed è triste dirlo) è legata alla distanza, al non sentirsi assolutamente coinvolti. Ma è possibile non riuscire a sentirsi coinvolti neanche dai mille bambini che muoiono in mare ogni anno, che sono più di quelli che muoiono in Ucraina? Non si può neanche dire che siano lontani da noi, perché è una questione che ci riguarda molto da vicino, arrivano sulle nostre spiagge». Il portavoce dell’Unicef crede che la stampa, soprattutto quella italiana, giochi un ruolo determinante in tutto questo. «A livello internazionale si raccontava la guerra in Siria giorno per giorno. Se questi temi non toccano l’opinione pubblica italiana è una nostra debolezza, una debolezza dei nostri media. Il conflitto dimenticato è un conflitto mal raccontato»

Come l’Afghanistan, una crisi che l’estate scorsa ci ha coinvolto moltissimo. Nove mesi fa vedevamo scorrere immagini di aerei pieni di persone che scappavano, di uomini che allungavano i propri figli sopra il filo spinato perché i soldati occidentali potessero portarli in salvo. Eppure, anche se tutto questo accadeva solo nove mesi fa, oggi sembra ce ne siamo dimenticati. La situazione dell’Afghanistan è “appesa a un filo”, con milioni di persone che soffrono la fame, l’istruzione e i servizi sociali in condizioni disastrose e il ritorno alla Shari’a e alle continue violazioni e limitazioni dei diritti delle donne.

«Sono anni che vedo migliaia di persone morire nel Mediterraneo, anni che vedo bombe volare sulla Siria, in Yemen, eppure ce ne disinteressiamo. Il quadro è deprimente. Oggi c’è una guerra terribile alle nostre porte che potrebbe arrivare a noi e giustamente ce ne preoccupiamo, ma perché questa guerra riguarda noi, ci tocca da vicino. È umano, però nell’umanità è disumano».

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